Beata gioventù, benedetto l’impeto giovanile, carburante senza esaurimento per la fresca band degli Unreal City. Ma si tratta di slancio puro e appassionato o di zelante “realismo più del re”? I ragazzi sono nel mezzo, tra una travolgente dichiarazione d’amore per il prog italiano degli anni d’oro e un’adesione calligrafica a canoni e stilemi di quell’epoca. Inutile girarci intorno: che a suonare un bel prog d’annata sia un quartetto di giovanissimi non può che far piacere.
Gli Unreal City sono una band di Parma giunta al sospirato album d’esordio dopo un demo accolto favorevolmente dagli addetti ai lavori: l’ingresso in Mirror Records, il ritiro in studio per un mese come si faceva ai bei vecchi tempi, la direzione artistica di Fabio Zuffanti hanno fatto il resto. “La crudeltà di aprile” è la seconda uscita Mirror: se gli Oxhuitza, chiamati a battezzare la neonata etichetta, hanno proposto un free rock dal taglio prismatico e crimsoniano, gli UC puntano invece alla vulgata più “conservatrice”, riallacciandosi alla tradizione sinfonica degli anni ’70.
Un concept ambizioso e “teoretico” organizzato in sei lunghi brani, con tanto di suite finale (“Horror Vacui”) a mo’ di solenne sigillo: gli UC esplorano vari ambienti sonori in un’opera mutevole che spazia tra romanticismo ed epicità, flash rock e mitologia, riassumendo la propria poetica in “Catabasi” e “Dell’innocenza perduta”. Ottime qualità esecutive, un’idea di fondo credibile e realizzata con coerenza, qualche riserva sul cantato poco incisivo, anche se a più riprese si ha la sensazione che quell’impostazione sia un omaggio alla vocalità enfatica del nostro prog, come accaduto per i vari Pandora, Coscienza di Zeno, Marchesi Scamorza etc.
Tra Orme, Musei, Balletti e Locande, gli Unreal City rivelano un lavoro già compiuto nella sua intelaiatura, nella scrittura e nelle intenzioni. Ma attendiamo con grande curiosità il secondo passo.
D.Z.