“New life starts from every day”. Mia massima del 2013. E per cominciare bene, anche oggi grande musica a colazione: Tàncolnak a kazlak dei Djabe. Quanto ho amato questo disco. Quanto lo amo ancora. Benchè sia un ottimo album, benchè la band sia in stato di grazia, il rock-jazz del sestetto ungherese – aggrappato a un lembo di new age e a un brandello di world music – ha su di me dei potenti effetti evocativi per motivi extra musicali. Mi ricorda fortemente la “mia” Acqui Terme. Sarà un fatto di brume, di caligini lontane, di filigrana sottile del sole al tramonto, di profumi di Langa appena percettibili, di risonanze, consonanze e transonanze. Un cd che ho letteralmente spremuto. Ha stazionato nel mio stereo, nel mio pc, nel mio ipod con diverse gradazioni e modalità di ascolto: a manetta, a palla, a iosa, a mostro, a dismisura, senza ritegno, da notti fonde con ultrasuoni da pipistrello a giornate assolate all’insegna di volumi esagerati da disturbo alla quiete pubblica. Ogni volta una stretta al cuore, ogni volta una crepa e un sorriso: sarà un fatto di familiarità.
E com’è stato familiare un incontro di oggi pomeriggio, più che veloce direi telegrafico, ma tanto rassicurante. Cele Grifa del Chromazone Club mi ha invitato a intervistare Cristiano Godano sabato 12 gennaio e mi ha consegnato il suo libro I vivi e il dvd del suo reading Terrore. Stretta di mano lesta e caffè rapido, ma il gesto del prestare un oggetto musicale mi ha riportato ad altri tempi. Ad altri mondi. Quelli cari a noi nativi analogici, quando se non si comprava il disco lo si registrava grazie all’amico generoso, quello illuminato che ti concedeva per 24 ore il prezioso cimelio. Purtroppo noi esseri umani, cumuli di sterco, vergogna, cadaveri di vite precedenti e ignobili speranze, ci attacchiamo alla nostalgia: un porto sicuro, una sponda morbida, un volto sorridente, una copertina ammiccante.
In un ping pong di emozioni e reminiscenze, ti incontro il mio amico professore, baffetto e coppola nuovi di zecca, pensieri pesanti e preoccupazioni spinose vecchie come il cucco. Un tempo, sia nella nostra comune militanza scolastica in un’epoca che preferisco non rievocare, sia nella recente sequela di rimpatriate da reduci, il professore nelle chiacchierate soleva ficcare il suo amore per i Queen: da cosa nasce cosa, da Brian May si passa alla Red Special, dalla chitarra ad altri mondi fatti di note, libertà e casse nere da un palco all’altro. Oggi no. Oggi nuvole nere e dense all’orizzonte. Futuro incerto, dubbi professionali, angosce familiari, incertezze sentimentali, passo dopo passo su quel Corso Garibaldi lastricato di respiri affannosi e inquietudini antiche. All’amico che cerca un posto fisso nel mondo, lo zingaro che vive in me – quello che mia nonna Germana conosceva bene quando mi diceva “t’ei ‘n girondòn” – non può che offrire la sua visione: volatile ma rigorosa, comprensiva ma individualista.
In nottata, tornando dalla radio dopo le mie consuete tempeste di rock on air, passi solitari e pensosi sullo stesso corso. Mi viene in mente Gurdjieff, il suo concetto di reciproco sostentamento del tutto, e così immagino il mondo, il tempo, il cosmo, come un groviglio immane di dolorose fatiche. In fin dei conti cercare una casa accogliente per lenire i propri affanni è umano. For pure and simple living.