C’è chi va in campeggio, o in treno, e porta con sé le inutilità della casa intera. Trasporta il superfluo di un vissuto, di un abitato, in luoghi di transizione, mobili e fugaci. Persistenza della confortevolezza.
C’è chi sul desk del pc o come screensaver del telefono usa immagini familiari. Rassicuranti. Bisogno di specchiarsi nel consueto, nel pieno.
Da anni l’immagine fissa all’accensione del mio computer è Les Volets Clos, Locquirec di Felix Vallotton, olio su tavola 1902. La scelsi perché era la copertina della Casa del tempo di Laura Mancinelli, la prima edizione Einaudi, 2004. Piemonte magico, rimbalzo di carezze.
Sul telefono invece ho questo scatto celebre. Irving Penn ritrae Miles Davis, 1986. Specchio riflesso potentissimo. Tutta la serie, dalla copertina di Tutu alle lunghe dita imperiali del genio, è tra le immagini più ammalianti che abbia mai visto. Calamita in bianco e nero.
Non ho la foto intera, mani piene che tirano il volto carismatico, occhi chiusi e muso adunco che si cerca nel prolungamento della tromba. Solo un frammento. Una concessione agli spazi del dispositivo. Dunque, una sconfitta.