Stanotte ho sognato i Rolling Stones. Come spesso mi capita, riesco a sognare interi dischi o anche concerti, con una strana situazione: una parte di tutto l’ambaradan onirico mi resta fortemente impressa durante la giornata, proprio a livello fisico. Nel caso di specie, ho ancora il graffio elettrico dalla nuca fino a sotto i coglioni, tipo riff a uncino. Jack Kerouac annotava i sogni subito, appena sveglio, con gli occhi ancora cisposi e la bocca impastata; io non ho la sua grazia e santità e me li scrivo quando posso, guarda caso quando le immagini sono svanite e ti resta solo qualche pizzico sulla pelle e le sensazioni più indistinte.
Sogno strano, come sempre accade nella mia capoccia ad occhi chiusi. La prima parte ve la sintetizzo, anche perchè i dettagli chi se li ricorda. Ero in viaggio verso Napoli, direzione casa suocera, mi fermo in un baraccio di quelli imperdibili tutto piombo a denari e Peroni on the rocks, chiedo se mi cambiano un assegno, nel frattempo mi ciulano la macchina, disperato imploro la restituzione a due elegantoni che in cambio di una sostanziosa mazzetta mi spiegano come ci si procurano i lussuosi vestiti di cashmere che indossano proprio nella mia macchina, divenuta come per magia decappottabile. Se giocate i numeri aricordateve de l’amici.
Seconda parte: concertone dei Rolling Stones! Teatrino stile New Orleans, sipario rosso porpora, fumo sudore truonelli e un sacco di gente, Stones al completissimo con tanto di Bill Wyman e Mick Taylor very special guest for our pleasure e io sul palco, proprio dietro le chiappette di Mick Jagger. Tanto per capirci, il mio miglior sogno erotico. Nel pieno di Jumpin’ Jack Flash (o forse era la nuovissima Doom And Gloom ma tanto cambia poco) viene annunciato il superospite: un chitarrista di Benevento di nome Berserk (o Barbarian, o Barabba, insomma qualcosa del genere). Un tipo grande grosso e peloso alla Otis Taylor che invece di saltare sul treno in corsa tipo The Great Train Robbery tira fuori un assolo lento e ciccione che neanche i Saint Vitus col catetere. Rabbrividisco ancora. Keith Richards si volta con una faccia da boia incarognito e biascica un ‘fermati’ talmente velenoso che mi sveglio.
Qualche giorno fa riascoltavo la Wedding Compilation. Trattasi di una delle antologie più misteriose e oscure della storia del rock, compilata dal sottoscritto qualche giorno prima del suo matrimonio, con lo scopo di rallegrare gli invitati e soprattutto lo sposo (uomo il cui grado di festosità è simile alla verginità di Ruby Rubacuori). Premesso che di tutta la festicciola nuziale ricordo ben poco (salvo i confetti, la serie di vinelli e la lectio magistralis del professore su Daniel Pennacchioni e Riri, Fifi e Loulou), grida ancora vendetta l’eliminazione dal lettore del cd che avevo pazientemente allestito. Roba funk-rock-blues di lusso amici miei: Led Zeppelin, Stevie Wonder, Harvey Mandel, Dan Reed, Funkadelic, Living Colour, Electric Flag, Chicago, Black Crowes e tanta altra goduria peccaminosa da scomunica. E in apertura, in chiusura, nel mezzo, sopra e sotto, Stones a più non posso. Perchè quando si sogna e quando ci si sposa, una Honky Tonk Woman ci sta sempre bene.