Vi è mai capitato di fare quel simpatico giochetto che spesso compare nei radio show più insulsi? Ovvero: qual è la canzone che ti rappresenta di più? Ovviamente da recitare con voce plasticosa e irritante da dj di provincia anni ’80, così rende meglio l’idea… Io sto girando intorno a questo drammatico e lacerante quesito da un po’ di tempo, complici i frequenti viaggi degli ultimi tempi, programmati da mesi o rubati all’ultimo minuto. Ebbene nel fulmineo Frecciarossa che mi ha scheggiato a Trento in men che non si dica, nell’affollato ma gelido regionale veloce che mi ha fatto desiderare Roma come un Venditti belante, nella mia comoda e tondeggiante Opel Corsa che poco fa mi ha fatto trotterellare fino ad Avellino, l’ascolto è stato uno ed uno solo. Turin Brakes.
Non sono il mio gruppo preferito, non conosco neanche il nome dei membri e quanti album abbiano fatto, ma il loro ultimo disco, il recente We Were Here, mi ha rapito. Anzi ha rapito le mie cuffiette, che mi assalgono in men che non si dica quando metto in moto o salgo in carrozza, e arrivate lì, alla traccia numero 9, decidono che proprio lei, Sleeper, è la canzone che più mi rappresenta in questo momento. Perchè? Potrei avventurarmi in un profondo excursus psicanalitico ma sarei il primo a rompermi le balle, rinuncio perchè il motivo è semplice: è un gran bel pezzo. Quella folk-song che pesca dalla selvatica poesia urbana di Simon & Garfunkel e esplode nell’epico lirismo rock alla Crosby Stills Nash & Young mi fotografa perfettamente in questo periodo, complice il testo, che parla di sonno. Cioè la cosa che più desidero in questo momento della mia vita. E parlo anche a nome di mia moglie – martire e vittima di una pupetta di 15 mesi che notte e giorno sprigiona energia, denti nuovi, parole in libertà e sgambettii che neanche Don Lurio avvinazzato.
Sleeper mi ha accompagnato qualche ora fa in un piacevole ritorno ad Avellino. Pioggia battente, vetro appannato, luci in lontananza, pathos nelle orecchie, nuovi progetti all’orizzonte nella cittadina irpina e un incontro felice da Camarillo Brillo. Una volta si chiamava Ananas & Bananas ed era il fulcro dei malati vinilofili di mezza regione: ora che Michele Acampora – record store mastermind & psychedelic worldwide guru – ha cambiato location e nome, prelevandolo dall’epos zappiano, il negozio è più piccino ma le delizie a 33 giri e il gourmet da microsolco restano allettanti. E’ sempre un piacere fare spesa da Michele, anche perchè la mano fruga nel portafogli dopo lunghi e amletici tormenti interiori (prendo questo o quest’altro? Mi faccio il cd pur avendo il padellone a casa? Me la pappo quella deluxe edition?) e soprattutto dopo formative chiacchierate con il boss e la sua Silvia, competenti e onesti. Nuovo giro nuovo acquisto, un paio di Decca prelibati e Miles Gloriosus tra cool e hot, accolti a casa come due vecchi amici bagnati fradici per l’acquazzone improvviso, ben adagiati su un foularino che profuma ancora di inverno e di antiche dormite.
D.Z.