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Vado a Milano,
che prima o poi tutti i terroni vanno a Milano,
è fisiologico, drammatico, necessario.
Evviva il luogo comune, paragone d’odio senza acume.

Così cantava Riccardo Ceres nel gioiellino del 2018 intitolato Spaghetti Southern. Peccato che un artista di quella caratura si sia perso, disperso, straperso. Spero proprio a Milano, a questo punto.

Noi di tanto in tanto si va a Milano per piacere, che è fisiologico, forse anche necessario. Mai drammatico. Si va per cercare stimoli difficili da stanare altrove, consapevoli che sono come le spore di quello strano fungo chiamato Scleroderma, lo schiacci e esplode la nuvoletta di fumo color sabbia che attecchisce dove meno te lo aspetti.

Due anni fa esatti – foto rock & roll nel riquadro superiore – eravamo accanto all’ingresso di Palazzo Reale, in attesa della mostra di Richard Avedon. Qualche giorno fa – foto sotto, meno r&r perché nel frattempo i peli si sono imbiancati – stesso muro stessa attesa, stavolta per Edvard Munch.

Nello stesso disco, un Ceres con la voce da orco blues cantava:
Quando ti guardo la mia mano cade forte in un pugno stretto al petto che di sonno non ce n’è.