O Socrate.
Ho scoperto Silvio Ceccato solo con 32 Dicembre.
In mezzo al bailamme stranapoletano di barbe turche, Saverio e Salvatore, sfere di riso e sfruculiamienti di mazzarelle, quel viso lungo con la chioma candida e l’accento nordico non poteva non colpire. “Vieni mia divina proporzione, mia sezione aurea, è Afrodite che ci chiama!” poteva dirlo solo lui, compiuta incarnazione del crogiuolo alto/basso e nobile/plebeo dell’estetica popular decrescenziana.
Ceccato però aveva una storia lontana dal cinema o dalla divulgazione a buon mercato. Studi giuridici e musicali, approfondimenti scientifici – dalla psiche alla cibernetica – e entusiasmo fanciullesco, era un ingegnere della felicità, linguista irregolare: speculare al De Crescenzo che gli affidò il ruolo del Cavalier Sanfilippo. Con tanto di assegno ateniese per comprare il televisore: “Uh ggiesù, ha firmato Socrate”…
Un piccolo autoregalo, tipico oggetto da tre euro piovuto su bancarella di strada, per scoprire in quale mente – inevitabilmente predigitale e presocial – si annidano i nemici.