Quando si vive nella bellezza con la spinta inesauribile della passione, quando quella carica di entusiasmo è il carburante per il lavoro, non si pensa alle ultime volte. A quelle pensano gli altri quando ricostruiscono ex post storie, vicende, fatti. Mi ha colpito che le ultime due volte di Ernesto Assante siano legate a Lucio Battisti: il documentario per Rai1 e il libro per Mondadori – quest’ultimo davvero ben fatto, documentato, messo a fuoco in modo impeccabile.
Di Ernesto ho sempre ammirato la cordialità. Al telefono si percepiva nitido, schietto, il suo essere sempre sorridente, non solo in occasione delle interviste che negli anni abbiamo fatto in radio. Una qualità non da poco in un mondo a volte troppo serioso e paludato o, all’opposto, facile preda di scivolate adolescenziali. Anche quando gli chiesi un contributo per il mio libro su Beatles e Lucio Battisti per Pacini fu estremamente disponibile e generoso, facemmo un paio di lunghe interviste in alcuni frangenti persino torrenziali: il periodo di Abbey Road lo stimolava molto. Nel 2019 lo invitammo alla quarta edizione di Covergreen a Piombino, avremmo dovuto parlare del suo libro su Woodstock con White Star ma la mattina mi comunicò che non si era sentito molto bene e rimase a Roma. Dirottammo su una bella serata in autonomia con Marco Bracci e Fabio Canessa, ma si sentiva la sua mancanza.
Per quello che può contare, non sempre ero d’accordo con alcune sue valutazioni, a volte troppo indulgenti, forse inevitabili nella sua posizione. Ricordo con maggior piacere il suo libro Copio, dunque sono, che in tempi non sospetti fece il punto della situazione sulla rivoluzione digitale. E poi in 33 dischi senza i quali non si può vivere con Gino Castaldo inserì Rock Bottom di Robert Wyatt , A Rainbow In A Curved Air di Terry Riley e Music For Airports di Brian Eno. Anche per questo gli abbiamo voluto un gran bene.