In questi giorni di nuovo sole e nuovi soli, di metalli che si fondono, riappaiono e sanano come un balsamo, ho incontrato un libro fantasma.

È tutto perfetto: la genesi, la scomparsa dell’autore, lo status di cult-book cresciuto negli anni grazie alle mazzette di fotocopie che circolavano carbonare, l’imprimatur di Calvino all’epoca e di tanti critici – anche stranieri – oggi.

Non mi piace la nuova copertina Bompiani, la trovo troppo pop televisiva acchiappante farlocca. Tant’è che lo leggo svestito, denudato, manco si vergogna, nudo e piovoso com’è nella sua natura, quaderno di carta di malacqua.

Come Salinger e Battisti, Nicola Pugliese vive nell’assenza. Passa il resto della vita nel baretto irpino sotto al castello. Carte, cicchetto e chiacchiera. Cose molto più importanti di un’opera. È questa la vera materia di riflessione. Un autore che consegna al suo tempo e a quello che verrà il visionario ingegno creativo, poi da questo prende le distanze.
L’artista e il suo fumista.