La musica non si scopre solo con le orecchie. È un’onda che ti travolge e che assorbi con interezza corporea e spirituale. Pee Wee Ellis, ad esempio, l’ho scoperto con gli occhi. La prima volta con lui fu prettamente visiva.
I dischi con James Brown di fine anni 60 mi elettrizzavano ma non sentivo la presenza individuale di Pee: quello che mi arrivava era un muro di suono pluricefalo, nel quale si confondevano le rampanti teste super funk. La percezione di questo straordinario musicista è arrivata con Van Morrison e il live a Montreux del 1980. The Man con camicina sabbiosa e occhi chiusi, John Platania in nero con cravatta funebre, poi quella coppia di ottone, Mark Isham vestito da prima comunione e lui, Pee Wee, acchittato come chi la sa lunga. Giacca di velluto, coppola da club fumoso, sax di vulcano, sorrisetto compiaciuto perché il fiato c’era, i pezzi pure, la magia dilagava. E ogni tanto bisogna ricordarlo, soprattutto in questi giorni di anniversari di Jaco: The Chicken è firmata Ellis.
Da qualche ora Pee Wee non c’è più. Eppure lo guardo ancora.