Nei giorni selvatici di lavoro tra rovi e luce, il mio gesto più frequente è stato chiudere gli occhi. Soprattutto da bendato.
Less is more, si diceva.
Dalla perdita consapevole si riceve la consapevole ricchezza. Chiusi gli occhi, il resto si amplifica. I passi si fanno presenza, avvertimento; la carezza della luce solare orienta con la sospensione dell’ombra; da lontano lontanissimo alitano i rumori; il tempo si dilata, un metro di cammino è un viaggio nel cosmo.
Reciproco sostentamento del tutto, diceva un maestro che per comprendere si aggirò tra antiche confraternite sepolte dal tempo. Come i dervisci tourner che girano – anche loro a occhi chiusi.
Rinuncia non è mai perdita. Sottrazione non è mai privazione. Noi esseri finiti nello spazio e nel tempo siamo un organismo ritmico. Siamo governati da leggi che sostengono il nostro equilibrio. C’è una musica che guida.
Van Morrison aveva paura del palcoscenico. Stage Fright, si dice. Ma su quel quadratino di legno, fonti sonore alle spalle e applauso emozionato di fronte, chiudere gli occhi diventa trampolino di lancio per le stelle. Si è sempre dentro la musica.
Domani a Follonica parleremo di copertine. La veste preziosa delle musiche, casacca istoriata del samurai che procede al buio e segue la sua luce interiore. Come Van Morrison nella foto di Into The Music, opera del grande Norman Seeff.
Saremo alla Leopoldina dalle 18.30.
Stefano Calvi ed io dialogheremo tra disco music e rock: Boney M che sfida Frank Zappa, Cerrone che rivaleggia con i Rolling Stones.
A seguire apriremo la mostra di copertine Covergreen: 180 esemplari magici che avrò l’onore di raccontare in una passeggiata tra i vinili. Magari a occhi chiusi, per sentire meglio la potenza dei colori.