La cultura del performante, annidata nei meandri più remoti del cervelletto, genera mostri – altro che sonno della ragione.
Fare, fare tanto, fare meglio, fare ancora di più; dovere, sfidare, competere, accumulare, riempire. Senza respiro, senza pausa, senza secondi posti, senza sottrazione, senza imperfezione, senza benedizione, senza piacere.
Potrei stilare un elenco chilometrico di inabilità, di cose che non ho mai saputo fare: ad esempio non so nuotare. Un tempo era disagio, ora sta diventando ciò che è: sapere di non saper fare.
Una piccola grande rivoluzione è accogliere nell’area della consapevolezza la propria mediocrità: convivere pacificamente con le incapacità, le mancanze, le incompetenze. Allora diventa tutto piano, fino all’essere zero, un orizzonte di possibilità dinanzi al quale si è liberi di incamminarsi o di riposare.
Se poi si è in due, ancora meglio.
Sembra quasi un mare l’erba.