– “Si può creare una banana in laboratorio?”.
Domanda strana, lo so, me l’ha posta un tipo ancora più strano qualche ora fa, in una fosca e uggiosa serata beneventana. Stavo scappando in radio – come sempre in ritardo e con in mente una galoppante Mela di Odessa degli Area che avrei trasmesso di lì a poco… – e ti incontro un tipo losco, allampanato e segaligno, circondato da una sciarpa nera, stampella alla mano destra, ombrello in alto sulla testa (chiuso sotto la pioggia battente). Non credo di aver risposto alla domanda, rapito com’ero dalla complessità della stessa. Ci sto ancora pensando, se avete risposte le porterò al tizio mercoledì sera alla prossima diretta, tanto chi lo schioda di lì.
Il signore della banana è uno dei tipici personaggi che si incontrano di notte. In special modo in quella sannita. E dire che non sono per niente un animale notturno, soprattutto in questo periodo dominato da quella dolce e simpatica vampiretta di mia figlia che succhia ogni energia (ricambiando però con sorrisoni di pancia che valgono perlomeno 200 bootleg dei Led Zeppelin. Beh facciamo 100..). Eppure gironzolare di notte è per me una goduriosa liberazione dopo le fatiche del giorno. Non nascondo che vado in radio a piedi proprio per questo: si incontrano sempre personaggi in cerca d’autore, ancor di più quelli che l’autore ce l’hanno ma è a corto di idee. Tornando a casa, su un Corso Garibaldi vuoto e luccicante di riflessi piovosi, incrocio due persone e capto parte di un dialogo oscillante tra il mistico e il demente:
– “Dio è il creatore di tutto, del cielo, della terra e anche dei pianeti, Marte, Venere, Mercurio, la Luna!”.
– “Ma come fate ad avere queste conoscenze, con Internet?”.
– “Macchè, nessun Internet!”.
Peccato non aver sentito il resto.
Ho delle splendide memorie di antiche camminate notturne. Anche quelle mai fatte ma sognate sulle note di Night time dei Killing Joke, When the night comes di Joe Cocker, Spiritchaser dei Dead Can Dance, infine quella sensuale e torrida Nighttime is the right time di Ray Charles che vorrei tanto sparare a volumi inauditi proprio ora, notte larga e felpata. Ricordo in agrodolce le passeggiate con Armin – maestro di giornalismo, vita e tante altre cose – a temperature siberiane in attesa dell’aurora sannita, quando ci lanciavamo in spericolate elucubrazioni teoretico-musicali tra Renè Guenon e Miles Davis. Oppure i passi concitati tra fasci di nervi con il Casazzone, uomo di fuoco e di solide certezze tra la brina calante sangiorgese, oggi come ieri acceso dalla musica di Ivan Graziani e degli Inti Illimani. E le fughine zuccherose e brilluccicanti di speranza con Francesca prima che diventasse mia moglie, quando i nostri cuoricini bucavano la nebbia delle due di notte alla ricerca di annunci immobiliari per il nostro sospirato nido.
Ho ancora nel cuore l’autunno del 2005, ricco di puntatine avellinesi con Umbi e Varnadi, quando la miccia creativa ci accendeva e solo a guardarci in faccia tiravamo fuori di quelle robe da antologia del buonumore. Fu in una di quelle serate al profumo di arance e camino che partorimmo la saga di Superadamo, plot omofobo e provocatorio che mai vide la luce (e pour cause). Peccato che oggi quei triangolari di folle ispirazione siano svaniti: ognuno alimenta da solo le proprie genialate, piegato su se stesso attento ai propri passi. “Camminando di notte sulle impronte dei giganti”, cantavano gli inossidabili Kina: ancora una volta questa notte, guardandomi indietro alla fine del Corso, ho raccolto i miei passi e aperto la porta di casa con un sospiro.