Scene da una tv locale sannita, fine anni ’90.
Protagonisti: un distinto ma anonimo insegnante di yoga, fisico asciutto, occhialini e capelli bianchi, tuta sportiva e flemma da manuale; il direttore della tv (tuttora in attività…), un ingombrante residuato anni ’80 con spalline vietate dalla legge, pomelli scolpiti tipo via di mezzo tra Baglioni e Marina Ripa di Meana, capelli tinti con un pigmento non esistente in natura, voce impostata caramellosa, dizione degna di un bracciante siculo d’anteguerra, intelligenza pronta e viva tipo muflone in cattività.
L’insegnante è in studio per presentare l’apertura del suo nuovo centro yoga, il direttore in persona si occupa della pubblicità camuffata da intervista elegante alla Enzo Biagi:
– Professore, che tipo di esercizi fate nella vostra nuova palestra?
– Beh ci tengo a precisare che non si tratta di una palestra con esercizi, bensì di un centro yoga: le nostre attività riguardano l’area della consapevolezza interiore ma anche quella del benessere fisico, con una serie di pratiche che partono dal saluto al sole.
– Che tipo di giovamento potranno avere gli iscritti alla vostra palestra?
– Ripetendo che non si tratta di una palestra, i benefici sono notevoli: la coscienza di sè è il primo passo per conoscere tutte le potenzialità del proprio corpo.
– Consiglia anche ai nostri amici dalle tempie grigie in ascolto i vostri esercizi?
– Non si tratta di esercizi ginnici veri e propri, personalmente consiglio a chiunque la pratica yoga, che però necessita di costanza e dedizione.
– Professore, prima di concludere ci faccia un esempio concreto: ci faccia vedere uno degli esercizi che fate nella vostra palestra.
E il professore, con una tolleranza che neanche Gandhi, si alza dalla seggiola, si posiziona con olimpica serenità di fronte alla telecamera, si inginocchia di spalle dinanzi allo sguardo vitreo e bovino del direttore, poggia mani e testa a terra e con uno scatto felpato si produce in una splendida verticale.
Il direttore – che avrà probabilmente pensato “guarda chisto, s’è miso a capo sotto” – non sta nei panni e chiede:
– Professore, vuole spiegarci l’esercizio che ha appena fatto?
– Non era un esercizio, ma la semplice dimostrazione di quanto sia importante avere sempre un altro punto di vista.
Quell’involontario sketch ce l’ho in mente da decenni, fisso lì in un angolino della capoccia: grazie al direttore so bene cosa non deve mai fare un giornalista, grazie all’insegnante so che cercare altri punti di vista è essenziale, doveroso, formativo. Ci pensavo proprio qualche giorno fa, quando in auto lasciavo Senise e la meravigliosa valle del Sinni dirigendomi lesto verso Taranto, tra punta e tacco dello Stivale: da curve serpentine, cime aguzze e paesini nascosti su speroni, mi avviavo alle lineari piane ioniche che degradano verso il mare. E ancora una volta ho realizzato perchè non mi interessa il mare: è sinonimo di piattezza, ergo di piattume, di assenza di diversi punti di vista. E a me le cose piatte – dal’encefalogramma al petto femminile – non piacciono per niente, fatta eccezione per il trampolino dal quale la forchetta si lancia per portare delizie alla bocca, e per il sacro altare girevole sul quale la puntina celebra il suo amplesso con il vinile, ierogamia elettrica.
I luoghi marini mi ricordano proprio la scenetta televisiva condotta da quel pitecantropo con tesserino: orizzonte sconfinato e immutabile, senza altri punti di vista. Qualcosa di molto diverso dalle mie amate montagne, dai villaggi arroccati, dove è tutto una lotta verso il cielo, un viavai di ombre e odori, un passo dopo l’altro verso continue scoperte, ricordando René Daumal e il Monte Analogo. Forse per apprezzare davvero il mare e superare la sua banalità tocca averlo dentro di sè un punto di vista alieno: magari immaginarlo al contrario, come un enorme cielo d’acqua fermo lassù ma pronto a scaraventartisi addosso con la violenza di una poesia o lo sberleffo improvviso di un oracolo.
Stamattina osservavo l’ennesima fila di libri sull’affollata libreria accanto al letto, copioso centro di raccolta e smistamento dei numerosi volumi che popolano casa nostra e che quanto prima ci costringeranno a vivere sul pianerottolo. La sezione ultimi arrivi/prossime letture è caotica come non mai, priva di un criterio ordinante, ma è proprio questo il suo fascino, come la skyline di New York al tramonto: da qualsiasi lato tu la veda, da qualsiasi prospettiva editoriale tu la colga, resta sempre un coacervo di titoli e pagine tutto da interpretare. Provate anche a fare la verticale, ma senza spalline.