Perdendosi ci si ritrova.
Anche in una foto.
Così decretarono gli dèi.
Mi è stata recapitata questa immagine risalente all’autunno/inverno del 1980. I pantaloni di velluto a costine e il maglioncino sono un chiaro indizio cronologico, Alessandro stava per nascere, Dante da qualche tempo si era dato alla fotografia: la approfondiva in modo disciplinato e metodico, si cimentò anche in cerimonie e persino concerti (da qualche parte i miei custodiscono vari scatti da un live di Teresa De Sio, popolarissima in quello scorcio di primi anni ’80).
Ricordo che comprava tante riviste di fotografia – credo di aver visto lì le prime signorine – che insieme a Topolino, Tiramolla e i Fantastici Quattro furono la mia iniziazione da lettore. E fu proprio così che Dante mi colse in una delle mie abitudini più antiche, in uno dei miei atteggiamenti più frequenti, ieri e oggi: la lettura.
Rivedermi a cinque anni spiega alcune cose dei miei quasi cinquanta. Nella condizione eraclitea in cui siamo, anche se ci vagheggiamo lineari e definiti, una possibile via è il ritorno alla propria soglia, all’illusione della volontà nefasta, al mutevole nell’ordinato, all’estraneo nel familiare.