Questione di fame.
Anzi di pancia.
C’è una linea sottile che parte dalla fame del blues, attraversa Totò e arriva a Battisti. È da quell’ululato antico, rabbioso e famelico che arriva l’urgenza della motivazione artistica.
Un paio di giorni fa, nella giornata del Compleanno del Principe, con Elena Alessandra Anticoli Decurtis, Michelangelo Iossa e tanti amici abbiamo celebrato l’artista al quale siamo devoti. In occasione dell’evento al Grand Hotel Parker’s ho raccontato la passione sfegatata che Lucio aveva per Totò, narrata da Gaetano Ria, testimone oculare delle fughe dallo studio per correre al cinemino dove proiettavano La banda degli onesti, Letto a tre piazze e Miseria e nobiltà.
Credo che Lucio fosse attratto dalla musicalità e dal ritmo della recitazione, oltre che dal respiro popolare di quei film così amati. Inoltre, a proposito di fame, Totò mi è stato utile per capire che non ci sono film belli o brutti o dischi belli o brutti: è solo questione di pancia, di quanta ne mettevano il napoletano o il reatino, di come entravano affamati, con vigore e prepotenza, sul set o in studio.
Come Gianni Valentino e Lello Tramma con il loro Totò Poetry Culture, un flusso elettronico pieno di devozione da Santa Maria Antesaecula al mondo.