– Papà devi accarezzare il gatto!
Sono allergico all’epitelio felino. Mi basta stringere la mano di qualcuno che possieda un gatto o entrare in una casa dove svolazzano peli che esplodono reazioni incontrollate, epidermide in fiamme e attacchi asmatici. Così ho sempre avuto un patto di non belligeranza con questi animali magici, silenti e misteriosi ma a me nocivi.
Da qualche anno mi sono ritirato in un luogo in cui vivono dei gatti. Li tengo a distanza a differenza delle mie figlie, che li hanno subito accolti e nominati: Spazzacamino, Nerino, Bianchina (deceduta da qualche mese), Grigetta, Perla, Totò e, ultima arrivata, Artemide.
Sono transitori, solo un paio di loro domiciliati qui. Nonostante l’allergia mi sono affezionato, croccantini e bocconcini non mancano mai. Proteggono gli spazi. Ogni tanto li avvisto fermi, ritti anche se sinuosi, mi osservano curiosi alla finestra di studio mentre lavoro. Abbiamo sviluppato una forma di comunicazione sottile che attraversa il silenzio, lo sfida telepaticamente. Sono compagni psichici, diceva Burroughs a proposito della sciarada gattesca.
Stamane, in questa Pasqua uggiosa di vento e nuvole, mi sono seduto a guardare Perla e Grigetta mentre le pupe servivano festose le scodelle per sfamarle. Perla si è avvicinata, ho avuto la sensazione volesse esprimere gratitudine per il cibo e la presenza, felinanza umana. Non riesco a coccolarla, temo sempre l’intasamento bronchiale, ma una carezzina impercettibile e un invisibile sorriso in stile felino oggi li ho concessi.