Ieri in USA si è celebrato il National Drummer Day.
Tra jet lag, divari spaziotemporali e culturali, anche un pizzico di indolenza tricolore, direi che da noi la Giornata Mondiale del Batterista si possa festeggiare anche con qualche ora di ritardo.
E’ l’occasione per swingare e capire quanto il ritmo sia vitale, e quanto la batteria sia una presenza fissa, un ticchettio variabile ma costante, uno scandire il proprio tempo fraseggiando.
Penso a quanto siano stati formative per le mie orecchie, il mio sentire, il mio stare nell’ascolto, bacchette e pelli. Il beat primo motore di Ringo, l’elasticità di Tony Williams, le magie cromatiche di Mike Giles, la dolcezza perentoria di Tony Allen, lo shuffle imperituro di Pretty Purdie che pare facile ma rifallo e poi vedi. Bill Bruford demiurgo chirurgico, Christian Vander marziale e apocalittico, Topper Headon dritto nonostante tutto, i fill michelangioleschi di Gavin Harrison, Franz Di Cioccio dall’alto della tempesta e Giulio Capiozzo nel respiro degli dei.
Il suono terroso di Ginger Baker, il metallo da jazzista di Mark Zonder, la musicalità immensa di Phil Collins, il tamburo da sinfonia funebre di Vinnie Appice, due diavoli del ritmo in una sola creatura chiamata Hart & Kreutzmann, il cerbero latino di Lotus sotto l’insegna Shrieve/Peraza/Areas.
Neil Peart menzionato a parte perchè mente, poesia, cuore.
E chissà quanti altri, tutti partecipi a una immensa orchestra del groove.
A dirigerli, dall’Olimpo del Ritmo, uno solo.