Oh baby, back where I belong…
Truckin’ fu la mia prima canzone dei Grateful Dead. Imprinting siderale.
Era la fine degli anni ’80, la trovai in una di quelle cassette che uscivano ogni settimana in edicola. Se non ricordo male, ma preferirei non ricordare, note a cura di Red Ronnie.
Era una antologia live con classiconi tipo St. Stephen, The Other One e Dark Star. Truckin però aveva qualcosa in più: il senso del ritorno. Dopo il volo c’è l’atterraggio, dopo il drop out in regioni ignote la colonna sonora dell’accoglienza è un placido country rock cosmico. Equilibrio del tutto. Epica istantanea dell’American Music.
Tornavo da Torino nel 2009, fu lì che trovai questi due libri, amate bancarelle subalpine. Ho avuto anche la fortuna di conoscere l’editore qualche anno fa, Rolling Thunder in Molise. Quanta tenerezza Jerry Garcia, che col suo sorriso sornione ammette di aver suonato per decenni fuori tonalità – lo avevamo notato, capitano, e andava così bene. Ciò che mi interessa di più sono le riflessioni di Kreutzmann e Hart, uomini-ritmo mai troppo celebrati che incarnano il ticchettio nell’orgia sonora, il timing di coppia nella pulsazione oceanica. Naufragar mi è dolce in questo mare acido. Intuizioni sul tempo, pendolo a quattro mani e centinaia di tamburi tra andate e ritorni.
Com’è confortante dire: sto arrivando.
Quanto pesa sussurrare: torno presto.
Nel mezzo, ci si siede nel luogo del cuore, dove qualcuno ti rappezza le ossa.