Donato Zoppo

Freeway Jam: ‘Piccoli Mondi’ (FreeMood)

Quando pensiamo al progressive, spesso torna alla mente un’idea di continuum spazio-temporale, un flusso nel quale le consuete scansioni cronologiche vanno a farsi benedire, un regno in cui dominano incontrastati i dischi, a prescindere dalle date di uscita. Accade così che un’ottima band si faccia ascoltare con un frizzante album

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Djam Karet: ‘Regenerator 3017’ (HC Productions)

Li avevamo lasciati a “The Trip”: una suite di jam rock che ha rappresentato il momento più critico della lunga fase di stallo dei Djam Karet. Uno stallo per modo di dire, visto che la longeva band americana ha conservato un livello creativo costantemente elevato, ma è anche vero che

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Magenta: ‘The Twenty Seven Club’ (Tigermoth Records)

Il progressive rock ha da sempre avuto nella grandiosità delle intenzioni e dei risultati il principale elemento costitutivo, prova ne sono le suite e i concept album con i quali il genere ha cercato di nobilitare il rock, candidandosi come corrente colta, aristocratica ed evoluta. Nella maggior parte dei casi

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Fatal Fusion: ‘The Ancient Tale’ (Karisma Records)

Una copertina del genere – una leggiadra vestale con diadema lunare che, tra le nubi, affronta impavida un carro di tempestosi puledri – rimanda inesorabilmente al fantasy metal più ruspante; un nome del genere potrebbe essere candidato senza problemi agli Oscar dei monicker più improbabili; un titolo come “The ancient

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D’Accord :’III’ (Karisma Records)

Artwork mistico-psichedelico e provenienza geografica la dicono lunga. I norvegesi D’Accord attingono a piene mani dal mondo sotterraneo del primo prog britannico, da Gnidrolog e Cressida, da Gracious e Spring, confezionando un terzo disco deciso e sentito. Chi li segue da un po’ di tempo ha ben chiara la situazione:

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Taproban: ‘Strigma’ (Musea Records)

“Buone cose di pessimo gusto”. Credo che la definizione di kitsch più efficace sia proprio quella di Guido Gozzano, che consapevolmente o meno è stata accostata tante volte ai gruppi progressive, in particolare quelli delle generazioni più recenti. Non che i Taproban siano kitsch, ma l’estetica rock dal post-punk in

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Skanners, The Black, Vanadium: tre libri della Crac Edizioni

Lunga vita al metallo italiano. A differenza del progressive anni ’70, nato e cresciuto in pompa magna grazie a un contesto storico e sociale più favorevole all’ingresso del rock d’oltremanica (ma anche all’unicità di formazioni inimitabili come PFM, Banco, Area, Orme, Osanna etc.), l’heavy metal tricolore ha avuto maggiori difficoltà

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