Stavolta T fa le cose sul serio. Non che prima del suo quarto album “Psychoanorexia” fosse un giovincello tra l’amatoriale e il lo-fi, ma la sensazione che si prova affrontando questo suo nuovo lp è di una voglia forte di definire compiutamente la propria musica, raccogliendo le piccole e grandi conquiste del suo lavoro e lanciando un nuovo capitolo artistico. Gli amanti del neo-prog ricorderanno con piacere gli Scythe, formazione estinta nel 2001 – dopo l’unico album “Divorced lands” – nella quale Thomas Thielen ricopriva un ruolo centrale: dopo dischi, il musicista tedesco si è messo in proprio, è diventato T e ha pubblicato tre album particolarmente omogenei, a cavallo tra l’esperienza progressive e forti tentazioni sperimentali.

“Psychoanorexia” si candida subito a opera cruciale per il nostro: due anni di lavoro per un concept a tinte fosche sulle contraddizioni della contemporaneità, tra politica ed eresia, mass media deviati e indiscriminata diffusione del sapere. Quattro suite incentrate completamente su lunghissimi testi, un’ipotesi di percorso sonoro tra Peter Hammill, Steven Wilson e Peter Gabriel, un progressive tirato a lucido e agganciato tanto agli scenari floydiani quanto agli sviluppi melodici cari ai Marillion di ieri e di oggi. Passaggi tra elettrico e acustico, rabbia e distensione, disturbato rock elettronico e ampie aperture melodiche confluiscono con lentezza, senza scatti repentini, giocando molto sui tempi lunghi.

“Kryptonite Monologues” è l’episodio che meglio sintetizza il panorama sonoro e concettuale che T ha in mente, nei pregi del progetto ma anche nei difetti. Ancora una volta uomo solo al comando, Thomas suona, arrangia, produce e cura in solitudine la sua musica: se la qualità del prodotto e della confezione è fuori discussione, si coglie anche l’assenza di quell’interplay e di quella fisicità che un gruppo riesce a comunicare con maggiore convinzione.

http://www.t-homeland.de

 

D.z.