Il loro secondo album era stato acclamato dalla stampa specializzata per la qualità delle idee e la bontà del collettivo: gli Sky Architect, non contenti degli ottimi risultati di “A dying man’s hymn”, tornano a due anni di distanza con un disco che perfeziona e definisce la lettura moderna del prog interpretata dalla band.
“The curious one” (una opener di 18 minuti bella pesa), “Elegy of a solitary giant” e “Traveller’s last candle” sono i pezzi forti – e notevolmente estesi – di un album di ispirazione fantascientifica, che smobilita tutto l’armamentario del caso inserendo in un’ampia cornice concettuale un’idea di new progressive aggiornata e competitiva. Contrariamente alle grandi overture da rock opera, “A Billion Years of Solitude” si schiude con un inizio lento e placido sviluppandosi per spinte, deviazioni, scatti e segmenti che riportano alla mente la lezione dei classici, Gentle Giant su tutti e per l’occasione cosmica anche i Pink Floyd.
Dove gli Sky ragionano da gruppo contemporaneo è nella parziale rinuncia all’apparato iconico e sonoro anni ’70 e nell’inserimento di diversivi: ferma restando un’adesione al genere – lo dimostrano la lunghezza e la struttura dei brani principali – gli svedesi lavorano meglio su brani ristretti, come dimostrano la mutevolezza di “Revolutions” e la sequenza fantasiosa di “Wormholes”, che fa convivere geometrie crimsoniane e sfuriate heavy-prog.
Un disco convincente per la qualità dell’esecuzione e la sicurezza della scrittura: per quanto risaltino in modo anche eccessivo certi modelli, il neo prog degli Sky è confezionato con cognizione di causa e maturità.
d.z.