Piccolo problema personale: non riesco a farmi più piacere il new prog. Fatta eccezione per nomi come Big Big Train e qualche new sensation tipo Tin Spirits e Lifesigns, il prog che attinge tuttora alla fonte Marillion e simili non mi entusiasma: la doppia derivazione e i clichè fin troppo espliciti lo rendono meno attraente del pur ripetitivo neo prog in salsa vintage. I Silver Key sono riusciti a farmi cambiare idea: merito di un lavoro più che dignitoso, confezionato con cura, attenzione e ispirazione.
Certo il “vizio genetico” c’è e si sente: la band meneghina nacque proprio come Marillion tribute band nel 1992 ma ad ascoltare il disco di debutto, fermo restando un imprinting più che marcato, si percepisce la volontà di differenziare la proposta, di prenderne il meglio evitando pesantezze e sbrodolamenti. “In the land of dreams” è senza dubbio un disco “orgoglioso” nell’aderire a quei suoni, a quel linguaggio, a quella poetica: basta fermarsi al trittico iniziale – la title-track, “More than I can” e “Learn to let go” – per essere catapultati in un universo sonoro che farà esaltare i fan di Pendragon, Landmarq, Twelfth Night, Arena e Quidam.
La parte positiva del progetto è che i SK non si fermano qui: anni di esperienza (anche live) e maturità consentono al quintetto di lavorare su idee credibili, di puntare all’arrangiamento ora leggero ora sontuoso, di sfoderare melodie fishiane assai trascinanti come quella di “Millennium”. Menzione a parte per “The Silver Key”, articolata suite ispirata all’omonimo racconto di Lovecraft (1926): una cavalcata che sintetizza l’orizzonte al quale i SK si ispirano, confermando l’ottima preparazione, l’attenzione alla centralità melodica e alla rifinitura strumentale.
L’ultimo buon disco di new prog possibile? Ai posteri l’ardua sentenza, ma di sicuro “In the land of dreams” è un’opera impeccabile, consigliata anche a chi non ama più il genere.
http://www.silver-key.it
D.Z.