Rockin’ against the boundaries

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5 luglio 1954. Elvis varca la prima soglia della storia del rock.
Entra negli studi della Sun Records a Memphis per incidere That’s All Right di Arthur Crudup e Blue Moon Of Kentucky di Bill Monroe. Nasce il rock grazie a un bianco che canta come un nero, pensa il proprietario Sam Phillips e come lui tutti gli ascoltatori di quelle piccola radio locali che non credono alle loro orecchie.
Il rock ‘n’ roll abbatte subito gli steccati: musica bianca che ha assorbito in pieno umori, ritmi, eros di quella nera. Uno scambio di colori che diventa dialogo culturale interrazziale in un’epoca in cui le divisioni sono nette, rigide. Panchine per bianchi e per neri, sedute nei bus, per non parlare delle scuole. E anche le classifiche hanno una rigida suddivisione: musica pop, country & western e infine la peggiore dicitura, race records.
I pionieri del rock hanno ridefinito il volto della musica americana, ma sono proprio i confini a ripristinare l’ordine precedente, a sancire la fine – fortunatamente temporanea – di quella irripetibile stagione. Tutto accade tra 1958 e 1959: Elvis varca i confini europei, è militare in Germania; Chuck Berry attraversa gli States per introdurre illegalmente una minorenne e sarà arrestato; Jerry Lee Lewis supera i limiti della decenza: sposa la cugina tredicenne; Little Richard passa dal blasfemo al pio, dal profano al sacro: diventa predicatore. E nella notte del 3 febbraio 1959, una volta lasciato alle spalle lo stato dell’Iowa, l’aereo che porta Buddy Holly in Minnesota si sfracella su un campo di grano.

Bisognerà attendere cinque anni da quel giorno, meglio noto nella cultura popolare americana come The Day That Music Died. Il 9 febbraio 1964 i Beatles sono da Ed Sullivan nel suo popolarissimo show: un’esibizione a dir poco trionfale. Quella sera milioni di americani sono inchiodati alla tv. Un record, se pensiamo che si registra il minimo storico di furti e reati: anche i criminali si sono presi una pausa, ricorderà George Harrison. E’ il primo trionfale passo della British Invasion, quel dirompente fenomeno di vera e propria invasione britannica negli USA da parte di tutti i gruppi inglesi che, insieme o sulla scia dei Beatles, sorvolano l’oceano per dominare le classifiche, i gusti e le abitudini americane.

Nel 1966, quando l’Inghilterra con Revolver e gli States con Pet Sounds saranno pari nella creatività e nella fantasia, partirà un fantastico ping pong psichedelico tra Londra e San Francisco, un flusso di corrente visionaria e floreale tra Vecchio e Nuovo Continente. Da quella tensione creativa nascerà il meglio della musica che ancora oggi ci emoziona, ci intriga, ci affascina e ci rapisce. Che ci porta via in un nostro intimo immaginario, tanto protetto quanto sconfinato. Da quella musica nasceranno i turbolenti e rumorosi anni ’70, quelli di John Lennon che immaginava la scomparsa dei confini, o di George Harrison che si poneva come uomo-mente-spirito cerniera tra Occidente e Oriente.

L’impatto rivoluzionario di quei pionieri così coraggiosi e tenaci è sfiorito da tempo. Ora tocca a noi ascoltatori impugnare il più forte e vigoroso dei gesti politici: prendersi tempo e donarsi attenzione, comprare un disco, fermarsi, sedersi, sognare. Ascoltando la musica.

Elvis Presley