Hanno suonato con Allan Holdsworth e Scott Henderson, nel nuovo disco godono della partecipazione di tre special guest come Steve Rodby, Paul Wertico e Jamie Haddad, vivono il live con costanza e creatività e sono amati dalla stampa di tutto il mondo. Cosa manca ai Marbin? Magari se fossero nati quarant’anni fa sarebbero stati osannati come leggenda del jazz-rock anni ’70, ma anche oggi riescono a farsi notare per l’inebriante miscela e l’energia che caratterizza il loro sound.
Dani Rabin (chitarra) e Danny Markovitch (sax) centrano l’obiettivo anche con il terzo album “Last chapter of dreaming”, secondo titolo per la Moonjune, ideale sedes materiae per il rock-jazz focoso e intraprendente del duo. Il nuovo disco coglie l’occasione per sintetizzare al meglio la progettualità sonora dei Marbin e per presentare una volta per tutte un sound ben messo a fuoco: merito di una fitta tour list in giro per gli States, durante la quale i ragazzi hanno registrato in vari studi, portando in sala la grinta e l’interplay sviluppati sul palco. “Blue Fingers” (memorabile lead sax-chitarra, una opener da manuale), la graffiante “On the square” e “Volta” passano in rassegna varie anime e sfaccettature stilistiche, in un panorama sonoro che passa dal blues (“Last days of august”) al balcanico (“Inner monologue”) e che rievoca persino le punte più aspre dei migliori VDGG. Non mancano sconfinamenti in area progressive (la severa “Breaking the cycle” è una sorta di elemento anomalo nell’economia del disco) e boogie (“Redline”).
Generosi fino all’eccesso (di fronte a 14 brani la prolissità è in agguato…), i Marbin sono la più interessante esperienza rock-jazz degli ultimi tempi: questo album lo ribadisce in pieno.
D.Z.