Cinque minuti. Forse qualcosa in più nei giorni trafficati.
Basta uscire da Ponte Vecchio.
Si gira a sinistra, sotto il voltone. Sempre dritti, si arriva allo slargo del Lungarno Torrigiani, costeggiando a destra e superata la statua di San Giovanni Battista si entra in una viuzza.
Una salitella leggera, cammino stretto, a destra un muro macchiaiolo, fino a questo portone di legno, sulla sinistra. Se non ci fossero le scritte neanche si noterebbe dato che la vista è rapita dalla facciata di Palazzo Canigiani.
Siamo in Via de’ Bardi. Un tempo era il 32.

Un numero popolarissimo perché, aperta la porticina notturna, si calava nell’antro più umido e fumoso di Firenze, gonfio di musica.
Ci si poteva trovare una band, una di quelle toste, lanciatissima in città e non solo.
Un chitarrista che aveva lasciato i furori anni ’70 per reinventarsi ritmico tagliente minimale.
Un bassista-locomotiva con un ampli tonante grande così.
Un tastierista elegante che la sapeva lunga nelle notti fiorentine.
Un batterista irresistibile anche quando imitava Alberto Sordi.
Un cantante performer mimo iguana dark antimilitarista.

Quarant’anni fa in questa cantina accaddero cose. È stato avvincente ricostruirle insieme ai Litfiba.
Tra poco meno di un mese in libreria con Aliberti.