In questa settimana di musica omologata/omologante, dove tutto è iperstudiato e artefatto, dalle mossette sculettanti alla lacrimuccia per la mamma, il libro su Desaparecido dei Litfiba sta raggiungendo tanti lettori, che ringrazio per i primi calorosi apprezzamenti. Spesso quando si scrive ci si rivolge al passato non per cedere a tentazioni nostalgiche, ma per toccare da vicino – o almeno avere l’illusione di farlo – un periodo storico in cui il fare musica in modo onesto, la possibilità dell’imprevisto e dell’errore, la centralità del sentire, erano una bussola per molti.

Flaubert affermò che spesso chi scrive canzoni popolari non è che un imbecille, ma nel momento della scrittura “sente” meglio di una persona intelligente (grazie a Alfio Squillaci per averlo ricordato, insieme al libro prezioso di Gianni Borgna sulla canzone italiana). Il “sentire” è una chiave di volta importante, credo sia al centro di Desaparecido. Un sentire talmente urgente e insopprimibile da aver accettato una produzione ancora oggi controversa – Piero, Ghigo, Gianni, Antonio e Francesco hanno avuto da ridire su quelle scelte, a partire dalla batteria elettronica di Ringo introdotta con l’idea di aggiustare e quadrare, oltre che come adesione allo spirito dei tempi. Per non parlare degli errori, come la canzone Desaparecido salvata in extremis perché Carlo Rossi aveva cancellato inavvertitamente alcune tracce, e dei refusi tra copertina e credits. Ma è tutto umano, qui sta il bello. Come la foto sfocata di Gianni Maroccolo, che nella sua imperfezione è autentica come la Musica che ha scritto, suonato e prodotto.