Quando pensiamo al progressive, spesso torna alla mente un’idea di continuum spazio-temporale, un flusso nel quale le consuete scansioni cronologiche vanno a farsi benedire, un regno in cui dominano incontrastati i dischi, a prescindere dalle date di uscita. Accade così che un’ottima band si faccia ascoltare con un frizzante album di debutto nel 2002 e che torni indisturbata, come se nulla fosse, una dozzina d’anni dopo. Parliamo dei Freeway Jam.
Un lasso di tempo così esteso tra “Pensieri imperfetti” e il suo successore avrebbe potuto comportare un netto cambio di rotta, invece i FJ hanno assecondato la loro più naturale inclinazione: la continuità, la magia scaturita dalla jam, il gioco di sguardi, segni e intuizioni che solo una band rodata e affiatata possiede. “Piccoli mondi” comincia proprio dove finiva “Pensieri imperfetti”: un ipotetico – ma stando al risultato, quanto mai concreto e reale… – punto di fusione tra rock, jazz/fusion, funk, hard/boogie e blues, ingredienti amalgamati con eleganza e grinta, tra improvvisazioni ed episodi strumentali che veleggiano spesso e volentieri verso dinamiche e tensioni tutte progressive, come dimostra la title-track, buon esempio di rock-suite diretta e pungente.
Nove pezzi realizzati con mestiere e convinzione, a partire da quella “Testadipazzo” che fa da manifesto programmatico nella proposta del riff sanguigno e nel suo coinvolgente sviluppo, al quale “Sur” è degna eccezione, tra vocal jazz e bossanova shakerata con rock. Dagli Area a Medeski Martin & Wood passando per Deep Purple e Weather Report, i FJ esplorano vari territori sonori approfondendo la componente jazz elettrica (spesso dominante: vedi la davisiana “Der blaue reuter”) e la graffiante parte rock (“Danny’s Land”). La formazione immutata (Gramignoli-Marchetti-Somenzi-Pavesi) garantisce aderenza al dettato dell’album di debutto, oltre che un interplay che diventa il fiore all’occhiello dei FJ: basta ascoltare gli spazi solisti, gli scambi e i passaggi, le chiusure (vedi il jazz-rock pimpante di “Son do mar” e “El bailarino bebado do Rio”), per rendersi conto del feeling che regna in “Piccoli mondi”.
Gruppo inattaccabile, disco gradevole, suoni tipo “cose buone di un tempo”: un bel ritorno.
D.Z.