Quanto c’è di noi nei libri che scriviamo?
Secondo un concetto di Proust, riscoperto stamattina a proposito della fresca riedizione Adelphi del Prete bello di Parise, “Un libro è il prodotto di un io diverso da quello che si manifesta nelle nostre abitudini, nella vita sociale, nei nostri vizi”. Vale anche per la saggistica, in particolare in quella musicale?

Nel mio lavoro sui CSI c’è tanto di me, della mia vita interiore e di quella sociale, e credo sia lo stesso, tanto per fare qualche esempio di colleghi/amici fraterni, nella scrittura beatlesiana di Michelangelo Iossa, negli studi sulla canzone di Marco Masoni, nelle cronistorie elettriche di Matteo Ceschi. Ci siamo e non ci siamo, chi c’è c’è e chi non c’è, avrebbe cantato quel Giovanni Lindo Ferretti che c’è, e anche tanto – troppo? – nella sua scrittura. E lo stesso discorso vale per Lucio Battisti, che nelle sue canzoni c’era pienamente eppure, sottraendosi fino all’evanescenza, non c’era e osservava, distante, da altri spazi e tempi.

Stasera da Laika alle 19.00 parleremo anche di questo con Riccardo Di Blasi e Domenico Cosentino stimolati dal bel pezzo di oggi sul Mattino a cura del sempre generoso Massimo Roca.