Ce ne fossero di etichette come la Lizard. Un catalogo storico e realmente indipendente, ricco di diverse sfumature del linguaggio progressive, dalle band più ligie allo spirito tradizionale ai battitori liberi che spaziano on the border. I Bad Mexican nascono e operano proprio su quel confine in modo sicuramente più felice e disinvolto rispetto ai tanti “indocumentados”, i “cattivi messicani” che provano a varcare il confine a Tijuana.
Questo “first attempt” del quartetto di Chianciano nasce dalle ceneri di un precedente progetto di estrazione metal dal nome Valkyrian ma di metallo qui neanche l’ombra, se non la ricerca – al momento giusto e con l’approccio giusto – dell’impatto tagliente e fragoroso. I quattro lavorano alla fusione di diverse esperienze (psichedelia, post-rock, metal, elettronica), spaziando senza particolare voglia di sottolineare l’una o l’altra componente: “Inches” e l’eccitante “Dirty Sanches” per la lunga durata, lo spirito folleggiante che abbraccia Fantomas, Kinski, Djam Karet e Anatrofobia, sono gli esempi migliori dell’opera.
Opera entusiasmante per calore e slancio, non priva però di difetti: come spesso capita in lavori simili (pensiamo alla “cocktail music” dei danesi Pinkunoizu o al noise rock degli americani Dope City), il gruppo perde con facilità il bandolo della matassa, pur riacciuffandolo nel trance rock di “Z’opho’phia” e nell’ossessivo stomp di “Lucifer rising”. Pars contruens e destruens si rincorrono, si azzuffano e fanno pace, in un disco piacevolmente confusionario, lunatico e surreale.
P.S.
Il rebus all’interno ancora non l’ho risolto.
http://www.myspace.com/thebadmexican
D.Z.