A quale generazione siamo arrivati? New-new-new prog? Triple definizioni carpiate a parte, gli InVertigo sono una delle numerosissime formazioni di estrazione regressive che, pur ricorrendo a strumenti comunicativi contemporanei, mostrano un sound orgogliosamente conservatore. In tal senso nulla questio: in tempi di retro-rock se band come Black Keys, Siena Root e Asteroid – tanto per nominarne tre diverse ma complementari – ottengono successo e responsi, non si vede perchè di InVertigo et similia si debba per forza parlare male.

Il problema è che gli InVertigo rispolverano i peggiori stereotipi del new progressive: un concept/non concept frammentario e indeciso, consueti riferimenti tra Marillion, Rush e Pink Floyd, brani sterminati come “The memoirs of a mayfly”, una lunga suite ficcata proprio in chiusura per rendere ancora più indigesta la pappa. Ed è un peccato visto che il quintetto migliora con il secondo album, giocandosi tutte le carte a disposizione e puntando anche su un’abilità tecnica non trascurabile.

La parte migliore di “Veritas” è nei brani più brevi e articolati come “Darkness” (spunta fuori anche la voce del Papa…) e “Suspicion”, dove i tedeschi tirano fuori un rock sinfonico sfaccettato e compatto, lontano dall’eclettismo dei connazionali High Wheel (ma che fine hanno fatto) ma ben congegnato anche nei riferimenti ai vicini Sylvan (vedi “Lullaby”).

Un disco interessante per gli inguaribili cultori del new prog. E solo per loro.

http://www.invertigo.de

D.Z.