Oggi ho visitato un cimitero. Complice il tran tran di un ingolfato fine settimana, complici le ruote dell’auto malandrine che ci hanno scarrozzato – annusando il nostro smodato bisogno di sospensione – fin su in montagna mentre la pupa implacabile metteva e ferro e fuoco casa dei nonni, ci siamo ritrovati alle porte di un cimitero. Luogo che conosco molto bene, visto che lì è sepolta mia nonna Germana, alla quale ero affezionatissimo, scomparsa nel 2000.
Come sempre accade, il varco cimiteriale non è che un pretesto: non credo nella celebrazione dei defunti, anche perchè nessuno scompare mai del tutto poichè vive in altre forme e in altri tempi, entrando in contatto con noi nei modi più imprevedibili. Ho sempre sentito che il tempo è una linea nella quale entriamo e usciamo da una vita all’altra, una incessante “pioggia di anime” sotto la quale danziamo in cerchio, nella quale se c’è una cosa che deve essere celebrata non è la morte (rispetto alla quale, caso mai, è d’uopo una sana e grassa risata) ma la ciclicità delle esistenze. Ecco perchè entrare in un cimitero assume per me un’altra valenza: un contatto con un luogo magico, nel quale è tutto serenamente sospeso, silenziosamente in attesa, incredibilmente vivo e pulsante.
Adoro l’estetica cimiteriale. Con un disclaimer doveroso: al di là di un’antica infatuazione per la poesia sepolcrale preromantica, non fanno parte della mia forma mentis tutte le incrostazioni dark/gothic/necrofile etc. Se ascolto un disco dei Black Sabbath, dei Pentagram o dei Saint Vitus, colgo la maestosa staticità del doom ossianico, la solenne elegia dell’immobilità dietro la quale tutto scorre incessante, lento, inesorabile. Ma non penso alla glorificazione del cimitero come luogo di sola morte e di culto dei trapassati: perchè sento sempre di più che esso è un’oasi preziosa di vitalità. Basta pensare alla magnifica figura di un cipresso: una punta ombrosa verso il blu e lunghe radici che bucano nelle profondità di Ade, asse del mondo che trafigge placido le mura di antichi viventi e ci invita a raddrizzarci, a mettere radici nel cielo.
Mai come oggi, di fronte a una società anestetizzata, privata di qualsiasi forma di complessità, di ritualità e di esperienza, talmente satura di suono e di immagine da implodere nella più totale inerzia interiore, le austere geometrie delle tombe, i fregi esoterici delle cappelle gentilizie, i simbolismi del matrimonio tra chiaro e scuro, secco e umido, paradiso e inferno, sono la più alta manifestazione di vitalità che esista. Alfa e Omega.
D.Z.