Il progressive italiano funziona meglio nella nostra lingua o in inglese? Vexata quaestio, nata quando PFM, Banco e Orme andavano all’estero, tornata ai tempi del nuovo prog, cantato in larga parte in lingua straniera. Domanda nuovamente attuale facendo un parallelo tra i nuovi album della Coscienza di Zeno e dei Not a Good Sign: le due formazioni hanno in comune l’ambito operativo, quello del new prog italiano, l’etichetta (Fading della Altrock) e alcuni musicisti, ovvero il bassista Gabriele Guidi Colombi e il vocalist Alessio Calandriello.
E’ proprio quest’ultimo a suscitare la domanda di apertura: se nella CDZ l’uso dell’italiano è calato in una scrittura più romantica e visionaria, nei NAGS l’inglese è in linea con una musica dal respiro maggiormente internazionale, in bilico tra rispetto della tradizione e aggiornamento, ritmiche serrate e serene distensioni. Merito di Paolo Ske Botta e Francesco Zago: il tastierista e il chitarrista degli Yugen sono gli ideatori di questa operazione che si distacca dal rock colto e severo della band madre per dirigersi verso un prog-rock dinamico e febbrile, non lontano dalle atmosfere care agli scandinavi.
Il taglio crimsoniano e frenetico di “Almost”, il gioco da sapiente orchestra rock di “Making Stills”, il felice slancio melodico di “Coming back home” e “Afraid to ask” sono i momenti più alti; la title-track – il brano più lungo e articolato – è un ottimo esempio di neo prog intenso e mai prolisso. Buon equilibrio tra chitarre e tastiere, batteria presente e talvolta spinta in direzione heavy (vedi la cadenza possente di “Witchcraft by a picture”), scatti e pulsioni ben dosate con squarci melodici o stregati rendono “Not a Good Sign” un disco impeccabile per tensione, colori e asciuttezza.
D.Z.