Come ci si comporta quando si deve sfornare un nuovo disco dopo un capolavoro? C’è chi si dilegua per qualche anno onde far dimenticare il clamore (per quanto nell’era della rete la memoria globale sia infallibile anche se affollata…), c’è chi – con la naturalezza del genio o gli sforzi delle alzate d’ingegno – tira fuori un disco-fotocopia, chi fa il possibile per deviare e concepire un’opera diversa. Judy Dyble ha provato a percorrere diverse strade all’indomani dell’eccezionale “Talking with strangers”, ha lasciato correre un po’ di tempo per alleggerirsi, ha preso il meglio di quel disco, ha cercato nuove idee.
“Flow and change” è il risultato di tutto questo: un album che preleva struttura, svolgimento e vis immaginifica dal celebrato predecessore (compresi grafica e lettering), che si concentra sul contributo di alcuni musicisti-cardine (Alaistar Murphy, Pat Mastelotto, Matt Malley dei Counting Crows, Julianne Regan degli All About Eve, Mike Hooney degli Spiritualized), che si sofferma su una folk song visionaria, ampliata e sfuggente. Immaginate una jam onirica tra Joni Mitchell, David Sylvian e Peter Hammill…
Non stupisca il rock floydiano e gotico dell’opener “Black dog dreams”: il disco scorre tra sfumati colori pastello, tonalità lievi e talvolta inquietanti (complice la recente scomparsa del fratello Stephen, che contribuisce a rendere il clima spesso ombroso e mesto). Temi e approccio vocale sono familiari alla folk song, che la Dyble interpreta a suo modo: a rendere l’album intrigante sono gli agganci cameristici, l’abbeverarsi a una fonte art-rock con gusto ma senza adesioni pedisseque. Lo dimostrano le impeccabili “Featherdancing”, “Crowbaby”, “Letters” e la struggente suite “The sisterhood of ruralists”: nella scrittura per archi, nella statura minuta e aggraziata, nel preziosismo acustico mostrano quella vena tipicamente “british” tanto cara alla Penguin Cafè Orchestra e ai Genesis.
“Flow and change”, per quanto ispirato, magico e toccante, sconta il confronto con il precedente album, del quale rappresenta comunque un riuscito secondo atto.
D.Z.