Tocca ammetterlo: una bella copertina fa tanto. Quando poi si tratta di lavori come il debutto dei Quorum, si rischia persino di dimenticare ingenuità e difetti dell’opera. La copertina di “Klubkin’s Voyage” (realizzata da Victor Manin), oltre all’intento evidente di aprire e racchiudere lo spirito itinerante del concept, riporta alla mente i grandi affreschi di Phil Travers, pittore dei Moody Blues e delle opere soliste di Ray Thomas.
“Klubkin” è una serie tv molto seguita in Russia, uno show scientifico che racconta di grandi avventure e tragitti geografici, e da questo la band del multistrumentista Dmitry Shtatnov ha estratto un concept sognante e delicato, espresso in una vasta suite di quasi ottanta minuti. Come la band polacca dal simile nome latino (i Quidam), i Quorum guardano alla corrente più conservatrice del new progressive, ma anzichè scimmiottare Marillion e Pallas cercando di personalizzare lo schema del concerto sinfonico lavorando sull’equilibrio tra strumenti, ispirandosi ai migliori momenti di Yes e PFM.
Per quanto prevedibile, schematico e autoindulgente, il prog dei Quorum ha stoffa e classe: lo dimostra l’impetuosa Overture che raccoglie tutti gli ingredienti della formula, lo ribadiscono numerosi episodi della suite come “Books and dreams” e “Decision”, o la floydiana “Geographic Community”. Alcune insistenze melodiche e corali (“Beginning” e “Confusion”) risultano ingenue e l’uso della lingua madre per il canto preclude una comprensione internazionale ma, veleggiando tra art-rock più spigoloso, grandi affreschi sinfonici e sapori fusion, l’esordio dei Quorum convince per direzione concettuale, idee e connessioni.
Nulla di eclatante, nessuna rivoluzione ma un buon disco che solleticherà i palati più nostalgici.
D.Z.