Nella musica degli Arabs In Aspic tutto concorre a suggerire quella che Elémire Zolla chiamava “esperienza metafisica”: in particolare in questo nuovo album, la pluralità di segnali favorisce l’abbandono dopo aver rievocato il clima di un sogno. Il titolo “Pictures of a dream”, la copertina in pieno stile lisergico fitta di simboli e figure archetipali – quasi un aggiornamento dei “12 Archetypes” del compianto Tammo De Jongh per il secondo King Crimson – e il sound prescelto testimoniano questa intenzione.
Dopo un secondo lp che presentava meglio l’orizzonte culturale e sonoro della band norvegese, appassionatamente dedita al rispolvero di atmosfere vintage, “Pictures of a dream” ribadisce quella direzione e, rafforzato dall’obiettivo concettuale, affina e radicalizza la proposta. Gli AIA uniscono il lunatico smarrimento del rock psichedelico alla raffinata e mutevole nobiltà rock del progressivo, utilizzando entrambi i moduli in un album scorrevole, talora pungente, nel quale manca la lunga suite cara a migliaia di colleghi in favore di brani brevi ma disponibili all’imprevisto.
Tra Nice e Pink Floyd, Caravan e New Trolls, il quartetto si muove in un interstizio ben preciso, quello tra ’60 e ’70, tra la fine del post-beat e l’avvio dell’esperienza acida, tra le prime pulsioni dell’art-rock e qualche nuovo graffio dal girone hard-blues, senza disdegnare melodie beatlesiane. “Rejected Wasteland”, “Let U.S. pray” e “Lifeguard@Sharkbay” sono i momenti più rappresentativi dell’opera ma anche dei limiti degli AIA, che spesso indugiano e si disperdono smarrendo il filo conduttore. Al di là di alcune ingenuità, “Pictures of a dream” si rivela un disco gradevole e coinvolgente.
D.Z.