Regions Of Light And Sound Of God. Certa gente non sa quanto mi rovina con titoli del genere. Sì, caro Jim James autore del disco in questione che oggi ho ascoltato con grande piacere, lo so che lo hai mutuato da God’s Man di Lynd Ward, ma qualcuno deve pur prendersi la responsabilità. Se dovessi fare l’elenco di tutto coloro che nel corso degli mi hanno traviato con i titoli dei loro dischi (e non entro nel mondo dei libri altrimenti finirei tra sei mesi), verrebbe fuori una lista sterminata di colpevoli. Qualche esempio? Love Devotion Surrender di Santana & McLaughlin. Ricordo che ero un bimbo, papà prese in prestito da un amico un Greatest Hits di Carlos e c’era quel pezzo così bello – Love, Devotion And Surrender da Welcome, annata 1973 – che ancora ricordo il brivido, la curiosità, gli spiragli che si riuscivano a intravedere da quella porticina socchiusa sull’infinito.
E poi No Guru, No Method, No Teacher di Van Morrison. Ho perso il conto di qualche volte ho ascoltato In The Garden, roba che la seconda facciata non l’ho proprio mai neanche vista. Quando Michele Paparella – sia benedetta Libri & Dintorni a Campobasso, speriamo riapra presto – me lo fece vedere nel mucchio di vinili che (s)vendeva, il mio batticuore assomigliava vagamente a quello della mia bambina quando brama ardentemente la bottiglietta di plastica con le nocciole dentro che fa tanto rumore. E poi ancora Wake Of The Flood, Light As A Feather, Script For A Jester’s Tear, Houses Of The Holy, Birds Of Fire, I Sing The Body Electric, Journey In Satchidananda, Fire Of Unknown Origin. E Spiritchaser.
Lo ascoltavo poco fa, all’andata e al ritorno dalla diretta in radio. Quanto amo questo disco dei Dead Can Dance. Lo scoprii casualmente: se la memoria non mi inganna Pippo lo diede a Umberto, che lo prestò a me, che lo registrai, che lo ridiedi a Umberto, che dovrebbe averlo ancora lui (infatti poco fa gli ho mandato sms per chiedergli se mi fa la scansione del libretto). Una serata fu la focosa colonna sonora di una mia storica prestazione sessuale, ma mi fermo qui perchè col senno di poi la tipa non meritava neanche uno scodinzolamento di spermatozoo. Un disco magico, mistico, evocativo. A riascoltarlo stasera, ad anni di distanza, non ha perso un grammo della sua potenza spirituale e devozionale. E poi laggiù, al centro dei meandri di Song Of The Stars, quel verso che risuona – stasera più che mai – come una luce lontana. We make a road for the spirit to pass over.
Guarda caso che poi caso non è perchè è tutto scritto, quella frase l’ho beccata, ieratica e monumentale più che mai, dentro le cuffiette all’andata e anche a ritorno dalla radio, come se la via per andare e tornare dalla redazione fosse un palindromo perfetto. E proprio al centro del tragitto non c’era solo il nucleo di Song Of The Stars, ma anche la Chiesa di Santa Sofia. Ferma, immutabile, centrale ma lontana. Con le chiese ho un brutto rapporto ma non è colpa loro, bensì dei criminali che le abitano, eppure a Santa Sofia sono legato. Quando immagino di attivare tutta la tiritera per sbattezzarmi penso sempre che la mia iniziazione è avvenuta proprio lì: benchè il mio battesimo sia stato un atto di violenza (come ogni battesimo, primo misfatto del cattolicesimo), quel luogo conta molto per me. Non soltanto per la meraviglia storica e per gli incontri tra i Grandi Antichi. Ma perchè sento che è proprio così: una strada per far attraversare gli spiriti.