Bravi Tribraco. Bravi e con tanta voglia di migliorare. D’altronde già il loro primo disco “Cracking the whip” aveva mostrato una band di sana e robusta costituzione, e questo secondo lavoro “Glue” arriva a completare un percorso difficile, quello di un rock-jazz proposto con fantasia e imprevedibilità. Galeotto è stato il doppio tour negli USA, grazie al quale la formazione laziale ha potuto conoscere una realtà diversa, testare il proprio sound su palchi importanti, confrontarsi con musicisti come Mike Watt e Kevin Shea.

“Glue” è figlio di queste esperienze ma, pur godendo dell’ampia esposizione del jazz-core romano di Zu e Neo, è anche da ricollegare a quel fiume carsico che spesso affiora in superficie e fa capolino tra gli ambienti più esoterici del progressive italiano. Ascoltare “Glue”, infatti, provocherà piccoli e piacevoli deja vu in chi ha apprezzato formazioni come Memoria Zero, Jet Lag, Deadburger, Ossi Duri, persino i primi Mariposa e gli A Spirale.

Insomma una visione del jazz elettrico costantemente aperta all’imprevisto, all’ironia, all’improvvisazione (benchè in “Glue” la componente free sia più arginata). Girovagando tra marcette e funk (“Fake”), allucinazioni mediterranee e sensualità (“Samatzai”, “L’uomo del nuraghe”, “Volver a Buenos Aires”), scalmanate memorie di Soft Machine e Screaming Headless Torsos (“Blue glue”, “Warlock Road”, “Sergente di ferro”), i Tribraco di questo secondo album lavorano molto bene sulla scheggia e il frammento, evitando di lasciare una sensazione di incompiutezza.

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D.Z.