Quanto è difficile scrivere un libro.
E quanto è impegnativo chiuderlo – in tempo, se possibile.
Ogni volta si parte con mirabolanti buoni propositi: nuovo metodo, studio più ampio e trasversale, appunti ben sistemati e direttamente sul pc, salvataggio file plurimo onde evitare brutte sorprese, gestione certosina del tempo per non arrivare alla consegna in zona cesarini.
Ogni volta si fa l’esatto contrario, una roba scientifica, chirurgica: sempre lo stesso approccio istintivo e animalesco alla scrittura, letture talmente allargate che poi mi dimentico tutto e finisco col trattare un altro tema, appunti scritti su decine di foglietti volanti ficcati dentro al quadernone che non si trova mai, unico file spostato da una cartella all’altra con rischio di collasso quando non lo si vede più, massima disinvoltura nella chiusura tanto da inviarlo agli editor furenti con la bava alla bocca per il ritardo.
Eppure sono profondamente affezionato a quest’ultimo modo di fare, va avanti da vent’anni e da quasi una ventina di libri.
L’ultimo l’ho chiuso poco fa.
Il suo futuro è legato a chi lo leggerà, il suo passato è un enorme ringraziamento a tutti/e coloro che ho intervistato. Mi restano ancora chilometri di testo che utilizzerò in altre vite, conservo nel cuore tutti gli incontri, di persona o via telefono.
A tempo debito ringrazierò pubblicamente tutti uno ad uno, per ora mi limito ad autoconsacrare la faccenda con uno scatto spuntato fuori un paio di settimane dopo questa indimenticabile giornata di conversazioni.
Cerreto Alpi, mezzogiorno circa, un magnifico sole appenninico seduti da Gian, in attesa di una fumante polenta con funghi.
Grazie a Rosaria per la foto furtiva, il 24 aprile si celebreranno tante cose.