Oggigiorno si pubblicano tanti libri. Forse troppi. Cortazar lo aveva preconizzato nella Fine del mondo del fine, 1962: pagine e inchiostro ci sommergeranno.
Contribuisco anche io a questa mole di carta quindi dovrei tacere, però una cosa che noto spesso nella saggistica musicale è la scarsa documentazione. A volte mancano le bibliografie, oppure sono scarne, composte da elenchi generici di testate, senza funzionalità. Per uno dei miei primi libri mi fu chiesto di ridurre la bibliografia – “troppe pagine, si rischia di andare fuori collana”, mi fu detto – che invece tenni con fermezza. Le bibliografie sono viaggi dentro altri viaggi, ha dimostrato Gianfranco Salvatore con le 60 pagine di note e testi del suo I primi 4 secondi di Revolver.
Scrivere un libro non è una creazione ex nihilo, anche nella più urgente e irrefrenabile delle ispirazioni: tiriamo fuori ciò che abbiamo letto ascoltato visto sentito toccato assorbito assimilato, le nostre nuove cellule. È l’esito di un percorso iniziato anche anni e anni prima, nel buio e nel silenzio. Il sapere è un infinito mosaico di connessioni, non un ammassarsi di flash isolati e casuali, e per il lettore è utile conoscere l’itinerario di studio dell’autore.
Documentarsi significa andare a ritroso nei luoghi, nei suoni, nelle motivazioni, nella mente. Poche cose sono formative come scoprire cosa ha influenzato un artista. Le parole che cantiamo sono una finestra dentro, un’apertura di aria e luce su un patrimonio di conoscenza che può stupire.
Sto studiando un grande autore, amato e odiato al tempo stesso. Una parte significativa dei suoi testi è nata leggendo queste pagine.