I miei non ascoltavano musica; o meglio, non in modo volontario e consapevole. Tuttavia in macchina ogni tanto apparivano delle cassette – ricordo benissimo le antologie di John Lennon e Santana, Musicante di Pino Daniele – prestate da Gaetano, collega baffuto e capelluto di papà.
Nell’autunno del 1981 circolava in casa, come in un altro milione di case italiane, La voce del padrone. La scatolina aveva il bordo blu, la cassetta era bianca. Per un bimbo di sei anni non era semplice afferrare il senso di quelle canzoni, così scattanti ma anche nostalgiche, immerse in un altrove. Eppure ascoltavo a dismisura. Credo di avere avuto anche Patriots perché ricordo il naso antico di Battiato, fuori dal tempo ma dentro una personalità fortissima, che lo portava come la prua di una nave. Direzione fisica, ideologica, spirituale.
Stamattina, mentre scortavo la signorina alle giostre, ho messo su L’era del Cinghiale Bianco. Non immaginavo che una 5enne potesse mostrare tale attenzione.
Quando incontrai per la prima volta il rock lesto di Cuccuruccù mi rimase impresso il verso Avevo già la Luna e Urano nel Leone, così come mi si ficcò dentro L’eco di un cinema all’aperto di Summer On A Solitary Beach. Il proprio immaginario personale è costituito da questi continui imprinting, flash che si sedimentano e diventano carne, vita condivisa.
Eleonora ha avuto un’espressione strana durante un passaggio del Cinghiale Bianco: L’ombra della mia identità mentre sedevo al cinema oppure in un bar. Chissà cosa accadrà nella costruzione del futuro. Subito dopo ha raccolto fiori e ghiande.