Un sabato italiano.
Estate 1983. Sergio Caputo furoreggiava, adoravo quella canzone. La sera si scendeva giù, davanti al portone, con la lucina fioca anni Sessanta. C’erano un po’ di sedie, mia nonna e le signore più anziane si accomodavano, le giovani erano in piedi o accovacciate sullo scalino accanto a me. Di fronte c’era il bar latteria di Rita, compravo sempre la coppetta Sammontana. Attraversare la strada era una fuga dal covo di comari.
Anche ieri sera ho attraversato via Amendola. Erano anni. La casa della nonna, lo spiazzo dove è ancora parcheggiato il Maggiolone arancione che avrà la mia età e forse anche la stessa polvere. Avevo il sapore della farinata ancora in circolo. Il passaggio a livello lassù, le tracce della tabaccheria e della torrefazione in fondo, il retro dove ammiravo i ragazzi scalmanati che al tramonto giocavano al pallone, i citofoni che leggevo avidamente tanto da ricordare ancora oggi tutti quei cognomi subalpini così austeri. In un preciso punto della via l’odore di umido dilagava, ieri non c’era più. Omologazione dell’olfatto.
Presentare i libri, portare il proprio lavoro in giro è un pretesto. Si va per andare dove accaddero fatti, si torna per tornare dove le cose erano. Si ri-conoscono impronte, umori. Specchiarsi ad Acqui è un fattaccio tutto brutto e lercio che gronda terra sangue ombre catene urla, anche se lo impacchetto come un olimpico ricongiungimento con le radici materne. Stavolta Angelo e Carla mi hanno fatto da guida, con cura angelica.
Grazie ancora ad Angelo Arata, moderatore eccellente e uomo di cultura viva, non libresca. Alle spalle della Bollente, con l’immancabile acquazza a 74.5 gradi, abbiamo condiviso con gioia Beatles e Battisti. La Libreria Cibrario è un buon nido dove attivare i ricordi. Oggi alle 18.15 siamo al Salone del libro, un altro sabato italiano.