Uno dei miei gruppi preferiti degli anni 90 erano i Living Colour. I Metallica che suonano con James Brown, scrisse qualcuno. Definizione riduttiva ma indicativa del loro black rock: potente, aggressivo, un funk elettrico dilagante con il potenziale creativo di Vernon Reid – mai celebrato a dovere – e il sound aggiornato, contemporaneo. Peccato averli visti in concerto fuori tempo massimo, anni dopo il loro periodo d’oro. Li beccai nel posto più improbabile: un festival di bikers sperduto tra le montagne del Molise.
Il palco giaceva in mezzo a un altopiano diventato un alveare di moto rombanti e tizi truci con borchie e barbe. Proprio di fronte c’era un palchetto su cui trionfava una tipa che ruotava intorno al palo con la maglietta bagnata. Finito il soundcheck i Living Colour si goderono lo spettacolo, con Corey Glover particolarmente preso: “Ooh, she’s doing aerobics!”, disse tutto sorridente. Per noialtri nerd della musica c’era il banchetto di dischi usati, tristemente più allettante.
Ammiravo Will Calhoun, batterista martellante ma con gusto e intelligenza, l’ho seguito anche nei lavori solisti. Native Lands è un gran bel disco, con il difetto della frammentarietà tipica degli esperimenti appassionati, però ospita Pharoah Sanders e Nanà Vasconcelos, tanto basta. Power swing bello pieno, con la batteria centrale e presente, tra Elvin Jones e Ginger Baker, inadatto per la lap dance.