Qualche tempo fa Marcello Capra mi ha chiesto due righe di presentazione nel nuovo disco dei Glad Tree.
Detto fatto, con piacere tutto blues:
Sulle barricate con gli Inti Illimani. I cerchi concentrici tra acqua e antiche pietre di Third Ear Band e Aktuala. Le voci di guaritori e predicatori captate via radio da Eno e Byrne. Nuove rotte tra Genova e Oriente per De André e Pagani. Ry Cooder seduto di fronte a Alì Farka Touré, sogni e radici. World music ideale e reale, immaginaria e cercata, esplorata, voluta. I Glad Tree sono nel mezzo, tra desiderio e studio, tra aspirazione e pratica, perché tre è il numero perfetto: un primo passo, due piedi stabili, poi una piroetta per girare e osservare, assorbire, tradurre.
Il trio torinese è ancora oggi animato da una incontenibile passione per le musiche del mondo, sintetizzate in un pugno di brani gentili e sostanziosi, nei quali l’energia sa sciogliersi in filigrana, groove vorticosi e oasi mistiche, sud e nord del mondo in empatia. Dopo il debutto Onda Luminosa e il sequel Ostinato Blu, Glad Tree è ancora una torre di avvistamento su antichi percorsi musicali rinnovati in tempi, coloriture e timbri d’oggi.
Conosco da anni Marcello Capra, la fragranza della sua musica – folk blues che sa di buono, profumi appena sfornati – è la stessa del nuovo progetto Glad Tree, passioni roventi e circoli meditativi di note e sogni. Quando Marcello mi ha presentato questo nuovo album come «naturale, biologico e pulito» non ho avuto dubbi: il sogno continua ancora. Senza trucchi, senza finzioni, con una forza d’animo e una magia di sguardi che esorcizzano ogni distanza da pandemia, ogni paura del diverso. Parola d’ordine: feeling. Acoustic World. Buon viaggio.