Galahad. Un nome del genere non può non risvegliare sopite passioni nei prog lovers che videro nella band inglese – come in Marillion, Twelfth Night e IQ – la speranza per un ritorno in grande stile della tradizione prog britannica. Attivi dalla seconda metà degli anni '80, i Galahad debuttarono nel 1991 con “Nothing is written”: grunge e stoner erano ai nastri di partenza, il metal prog era pronto per affermarsi, i paladini della prima new prog wave avevano terminato un ciclo creativo e la band si proponeva dunque come anello di congiunzione tra il prog degli '80 e la decade seguente.
A vent'anni di distanza dal debutto, a cinque anni di distanza dal controverso “Empires never last”, i Galahad tornano con “Battle scars”, un lavoro che incuriosisce soprattutto per la veste grafica, con un suggestivo collage di foto a corredo dei brani. La line-up è quella attiva dalla seconda metà degli anni '90, con il chitarrista Roy Keyworth e il vocalist Stu Nicholson della vecchia guardia. Spicca Karl Groom dei Threshold come produttore ma “Battle Scars” non è certo un lavoro di metal-prog: i Galahad hanno fortemente voluto il lavoro della maturità ma non hanno saputo eliminare alcuni nei.
Il risultato è un disco di new prog ruvido e ampio, con attenzione alla rifinitura, al dettaglio sonoro, alle scariche rock e al manto di suoni, seguendo quanto fanno Pineapple Thief o gli attuali Anathema. I tempi lunghi e ariosi della title-track, le pulsazioni elettroniche di “Singularity”, il groove cadenzato di “Suspended animations”: questi i momenti più significativi di un lavoro indubbiamente aggiornato nella veste, un po' attempato nella concezione, con il grande difetto di non avere un “centro di gravità permanente”.
Il problema è proprio l'indecisione di fondo: new prog o alternative-rock? I Galahad non danno una risposta chiara, in alcuni momenti fondono le due istanze ma rischiano di alienarsi le simpatie dei progsters più esigenti e di non raggiungere un pubblico più ampio. Il rifacimento “sinfo-metalloso” di “Sleepers”, risalente al 1995, va proprio in tale direzione. Un lavoro ben fatto, ma interlocutorio.
D.Z.