Esattamente 20 anni fa, all’inizio della seconda grande ondata new prog dopo il boom marillioniano, i 3RDegree pubblicavano il loro primo album. “The world in which we live” era una cassetta che non fece scalpore ma si aggiunse alle numerose produzioni del periodo, così “Human interest story” (1996) e l’apprezzato “Narrow caster”, uscito 12 anni dopo. Per cavalcare una fase di notevole ispirazione, stimolati dall’aiuto del mentore Brett Kull, i ragazzi del New Jersey tornano con “The long division”, un ottimo album che lancia un’ipotesi concettuale non molto in voga in campo prog: una lettura del mondo e della storia all’indomani della grande crisi economica e delle divisioni politiche statunitensi.
Divenuti quintetto e consapevoli del loro talento, i 3RDegree hanno focalizzato la loro attenzione su un modulo prog moderno, poco disponibilie a lunghi pezzi ma concentrato su brani sintetici e scattanti: pensiamo a “You’re fooling yourselves” (mixata da Kull), “The soci-economic petri dish” e “Televised”, i momenti migliori per intensità, sviluppi e credibilità delle idee. “Exit strategy” lancia diversivi in levare alla Rush anni ’80, “The ones to follow” segue il percorso canonico delle rock ballad, la solare “Memetic pandemic” riassume bene influenze e intenzioni della band.
Ancora una volta legati a un art-rock che parte dagli Yes e arriva agli Echolyn passando per Saga e Kansas, i cinque amalgamano l’impeto melodico, la sostanza rock, l’articolazione prog e la coralità soul. Pur non aggiungendo nulla di nuovo al lungo corso del prog americano, i 3RDegree rivelano una piacevole tenuta d’insieme.
D.Z.